Su femminicidi, violenza patriarcale e di genere, politiche di prevenzione
Contro la violenza maschile sulle donne, violenza di genere e femminicidi il 25 Novembre una marea di centinaia di migliaia di persone ha bloccato Roma – e tante altre città – dopo che un’ondata di mobilitazioni, cortei, passeggiate arrabbiate e rumorose ha attraversato il paese – mentre tutti i mezzi d’informazione non parlavano d’altro. Anche a La Spezia la sera del 24N abbiamo dato vita a un partecipatissimo corteo, in cui abbiamo tuttə insieme manifestato la necessità di un cambiamento radicale con rabbia, commozione e amore, con la consapevolezza che femminicidi, trans*cidi e lesbicidi non sono casi isolati, ma il prodotto di una cultura e un’organizzazione della società profondamente patriarcali, in cui le nostre vite non valgono.
Dopo Giulia Cecchettin i femminicidi non si sono fermati, per questo leggeremo i nomi delle donne ammazzate ricordandole collettivamente, attaccando le fasce con i loro nomi al corrimano della scalinata nella nostra Zona Fuxia.
Sono 14 nomi che si aggiungono ai 120 nomi del 2023.
I 120 casi del 2023 ci offrono un quadro impressionante, che è lo stesso degli anni precedenti.
Nonostante abbiamo sempre avuto davanti i casi mediatici di Giulia Tramontano 29 anni, Giulia Cecchettin 22 anni e Vanessa Ballan 27 anni, notiamo che sono le donne più grandi ad essere maggiormente vittime di femminicidio. E non possiamo non denunciare le vergognose strumentalizzazioni della destra, in concomitanza con i due femminicidi di donne gestanti, per imporre, per esempio, il riconoscimento della “persona in vita” dal momento del concepimento. Aumentano anche i casi di persone con disabilità di cui il sistema continua a non farsi carico, uccise da uomini incapaci di gestire il ruolo di cura non socialmente a loro “destinato” e per cui non sono stati “educati”.
Le vite delle vittime vengono scandagliate, le notizie vengono travisate, manipolate e possono anche non comparire se vengono ritenute di scarso interesse, rispecchiando e riproducendo una di gerarchia del valore delle vite, così anche nella morte ci sono gerarchie di valore sulle “vite che valgono”. Il corpo di una donna trans razzializzata sui media non ha lo stesso valore di una donna bianca, giovane, magari incinta.
L’unica misura adottata dal governo dopo l’ondata di mobilitazioni di novembre è stata l’inasprimento del codice rosso. Non 1 euro in più per la prevenzione. Denunce e braccialetti elettronici, queste le soluzioni adottate dal/dai governi. Per il braccialetto elettronico sono stati investiti 5 milioni di euro, togliendo fondi ai CAV, “spacciandolo” come unico mezzo per la riduzione della violenza di genere.
Ma è interessante l’analisi dei dati sull’efficacia del braccialetto elettronico da cui emerge che non sempre funziona, banalmente basta ad esempio che manchi la linea e il telefono che dovrebbe avvisare la donna non suona, a volte suona inutilmente, il braccialetto può essere volontariamente danneggiato e comunque i tempi tra la segnalazione d’avviso e l’intervento delle forze dell’ordine sono a volte insufficienti.
Queste misure dal costo elevato non hanno fermato i femminicidi. Per combattere la violenza maschile sulle donne e la violenza di genere sono necessarie politiche attive di prevenzione, che vanno finanziate. Le scelte securitarie, solo schiacciate sulla dimensione penale si stanno rivelando fallimentari e non stanno salvando vite, i dispositivi elettronici o l’inasprimento delle manovre coercitive non ci stanno proteggendo.
Chiediamo interventi differenti che vadano alla radice dei problemi: – l’aumento dei centri antiviolenza aperti a tuttu, – programmi educativi che promuovano la cultura del consenso, che parlino di differenze, sessualità, relazioni e di affettività, ma soprattutto che mettano in discussione i capisaldi del sistema patriarcale di dominio, di possesso e di potere gerarchico. – educazione all’affettività, alla sessualità, alle differenze in tutti i livelli scolastici e nell’educazione informale; – correttezza, deontologia e attenzione da parte dei mezzi d’informazione; – formazione di insegnanti ed educatorə, giornalistə, forze dell’ordine, personale sanitario; – finanziamento delle case rifugio e dei Centri Anti Violenza rispettosi dell’autonomia delle donne e non il loro depotenziamento o svuotamento convertendoli in servizi neutri e improvvisati. Chiediamo reddito di autodeterminazione. Un’articolazione di misure e sperimentazione multi livello, tutte necessarie e nessuna eliminabile. Chiediamo che i percorsi di fuoriuscita dalla violenza vengano finanziati fino alla completa autonomia, con un sostegno economico adeguato. Solo costruendo percorsi collettivi e responsabilità sociale, valorizzando le conoscenze dei percorsi femministi, tranfemministi che hanno accumulato decenni di saperi sul contrasto alla violenza, sarà possibile un cambiamento. Siamo stufə di contarci da ammazzatə e da suicidatə, ci vogliamo vivə, liberə, felici e in salute!
Su lavoro riproduttivo e di cura, “Se noi ci fermassimo, cosa succederebbe?”
Oggi 8 febbraio, a un mese esatto dall’8 marzo, ci ritroviamo in piazza per un momento di lotta e discussione collettiva intorno alle nostre rivendicazioni. L’8 marzo vogliamo scioperare perché SE CI FERMIAMO NOI SI FERMA IL MONDO!
Lo sciopero transfemminista è necessario perché è in grado di connettere lo sfruttamento visibile del lavoro povero e precario, con quello invisibile e invisibilizzato della cura e delle attività domestiche, ma anche il “lavoro DEL genere”, come le norme di genere strutturano le relazioni sociali, e come sovvertendole e reinventandoci, in relazione, diamo vita a una società più equa. Infatti oltre allo sciopero dal lavoro produttivo (dipendente, salariato), per il quale dopo l’appello di Non Una Di Meno i sindacati stanno già iniziando a dare copertura a livello nazionale, e altre indizioni arriveranno, anche grazie all’impegno di tante delegate e sindacaliste, vogliamo rimettere al centro il lavoro riproduttivo. Che sia riconosciuto e non dato più per scontato. Vogliamo che sia socializzato, perché il patriarcato si fonda anche e proprio su binarismo di genere, che non solo pretende che ci siano solo due generi, ma che “stia in natura” anche la divisone del lavoro. Infatti oltre a disoccupazione, inoccupazione, precarietà, part time involontari, salari da fame, occupazione in settori meno retribuiti, disparità di salario a parità di mansione, molestie e sessismo sul lavoro, le donne lavorano gratis nelle case: nella cura di figliə, parenti anziani, persone con disabilità… e di maschi adulti in perfetta salute! Le donne e le persone femminilizzate garantiscono l’organizzazione di tutte le attività che consentono la gestione delle famiglie e della vita sociale. Vogliamo tenere alta l’attenzione e pretendere i cambiamenti necessari, perché nessuno lo farà al posto nostro.
Lotta di classe, transfemminismo e antirazzismo devono necessariamente camminare insieme per trasformare l’obbligo al lavoro di cura in base al genere.
Negli anni abbiamo assistitito a un cambiamento radicale nell’organizzazione del lavoro di cura, in cui l’ingresso delle donne nel mercato del lavoro ha prodotto nuovo sfruttamento per altre. Le persone bianche benestanti, grazie al loro privilegio di classe, possono permettersi di delegare il lavoro di cura a terzi: a donne, per lo più migranti e “non bianche“, che lavorano spesso senza contratti regolari e con straordinari enormi, soprattutto se conviventi, in condizioni di precarietà e invisibilizzazione. Quando il lavoro di cura non lo facciamo noi c’è sempre qualcun’altrA a cui viene delegato. Cosa succederebbe se iniziassimo a farci carico collettivamente glə unə dellə altrə?
Finché la cura non verrà ripoliticizzata come atto fondativo del vivere comune, finchè continueremo a percepire la divisione del lavoro in base al genere come naturale, finché non potremo decidere libertariamente della nostra vita e dei nostri rapporti continueremo a scioperare!
Su politiche del governo Meloni e molto altro
In un momento storico come questo in cui in Italia abbiamo il primo governo guidato da una donna, la politica va ostinatamente contro gli interessi delle donne e delle libere soggettività, siamo consapevoli che sono proprio le donne di potere che interiorizzano e riproducono dinamiche patriarcali, che antepongono l’economia alla vita, a rappresentare un grande pericolo per tutte le altre, negando le radici sociali dell’oppressione di genere.
Sappiamo benissimo che il governo in carica sta attaccando ferocemente l’autodeterminazione delle persone trans, sta attaccando ulteriormente l’accesso all’aborto e sta cercando di ricacciare le donne nel ruolo di madri, sta smantellando welfare e sanità e cerca di incatenarci sempre più alla famiglia, che come sappiamo è il primo luogo di violenza.
Analizzando i recenti provvedimenti governativi, in particolare l’ultimo Decreto Lavoro e l’ultima finanziaria, ciò che salta immediatamente agli occhi è l’impronta prettamente familistica delle misure adottate, che facilitano le donne solo in quanto madri. Per quanto riguarda l’ultimo Decreto Lavoro, infatti, la strada seguita è quella dell’ulteriore precarizzazione contrattuale, nonostante tutti i dati ci ricordino che l’Italia è l’unico paese in Europa in cui i salari sono diminuiti e non aumentati negli ultimi 30 anni, in cui lavoro povero e lavoro poco tutelato sono condizioni strutturali del mercato, e in cui non esiste un salario minimo.
La nuova Legge di Bilancio, poi, continua a individuare nella maternità la funzione sociale prioritaria delle donne, prevedendo misure a livello economico, quali ulteriori sgravi fiscali per le donne assunte a tempo indeterminato e che abbiano tre o più figli. Anche l’aumento del bonus nido riguarda chi ha almeno due figli, così come la facilitazione per l’acquisto della prima casa.
Attenzione però perché la manovra interessa solo le donne più “privilegiate” che hanno potuto scegliere di avere due figli destreggiandosi quotidianamente tra lavoro e vita quotidiana e che godono del contratto a tempo indeterminato, mentre si escludono le donne con meno risorse economiche, le precarie e tutte coloro che avrebbero più bisogno di un supporto e che, invece, si ritroveranno a essere colpite non solo dall’ulteriore precarizzazione dell’impiego prevista dal Decreto Lavoro, ma anche da misure come l’aumento dal 5 al 10% dell’IVA su prodotti legati alla prima infanzia, pannolini e assorbenti.
Sostegni insufficienti e incentivi/doti all’assunzione per le imprese, se siamo madri; ricatto del lavoro povero, precarietà, inattività e disoccupazione per chi non lo è.
Dopo la marea del 25 novembre, anche quest’anno sciopereremo per tutto: per le nostre vite che vogliamo libere dallo sfruttamento economico e dal ricatto della maternità non autodeterminata, scioperiamo dai generi e dai consumi, scioperiamo contro la violenza fisica e psicologica. Scioperiamo per noi. Per chi non può scioperare. Per chi non c’è più, ma c’è sempre. Con una rabbia che non può più essere arginata.